I risultati dello studio "NEW PARADIGM IN HEALTHCARE DELIVERY” di Boston Consulting Group
Meno disponibilità a spostarsi su lunghe tratte, meno contatto diretto tra medico e paziente, meno scetticismo verso le properties digitali: il modo in cui gli italiani (ma non solo) si avvicinano alle cure mediche sta, di fatto, mutando.
È quanto emerge dai primi risultati di uno studio realizzato da Boston Consulting Group e presentato oggi in anteprima al domusforum – the future of cities da Lorenzo Positano, Managing Director & Partner (BCG).
L’evento ideato e promosso da Domus e giunto alla quarta edizione è stato l’occasione per riflettere su come cambierà la vita privata, professionale e sociale soprattutto alla luce della pandemia e delle grandi trasformazioni in atto. “Come ci cureremo” è stato proprio il primo dei sette interrogativi attorno ai quali si è articolato il dibattito internazionale, condotto come sempre dal direttore editoriale di Domus Walter Mariotti che ha commentato: “La pandemia ha riportato alle origini della nostra specie, quando la salvezza individuale e della comunità era più importante e veniva prima della libertà e di qualunque acquisizione storica. Questo dato non poteva passare inosservato e infatti ha scatenato reazioni fortissime di una parte del mondo intellettuale ed economico. Per questo come ci cureremo è una delle domande cruciali del futuro della vita associata e profondamente legata a una visione urbanistica della società”.
A fornire le prime risposte la ricerca intitolata “New Paradigm in Healthcare delivery”.
“Il paziente del futuro sarà curato sempre più vicino alla propria abitazione, lasciando negli ospedali i casi più complessi, ed integrando nuove modalità interazione, con i fornitori di servizi sanitari, sia di persona che digitali” ha dichiarato Positano sul palco di Domus spiegando come saranno i sensori biometrici a dare il via al percorso di cura del paziente rivelandone i potenziali problemi di salute.
Ecco, quindi, che tra 3-5 anni il triage diventerà digitale indirizzando la persona allo specialista più adeguato. Costui poi prescriverà le terapie tradizionali (come quella farmacologica) alle quali si affiancheranno una serie di strumenti digitali utilizzati per monitorare svolgimento delle cure e relativi progressi.
Oggi, dopo la drammatica esperienza del Covid, il 53% dei pazienti oggi, considera la telemedicina molto importante. Non ci si aspetta che possa definire una diagnosi ma ben il 90% degli intervistati la considera uno strumento utile per non perdere tempo e risparmiare denaro, mentre per il 58% rappresenta un modo complementare e sostitutivo delle visite di follow up.
Eppure, solo il 3,4% dei medici italiani la utilizzano, un dato che ci pone comunque al di sopra della media europea del 3,1% ma ancora inferiore a paesi come il Regno Unito (3,9%) o la Francia (4,1%).
Questo dimostra come, pur essendoci grandissime aspettative di crescita e di gradimento, la strada sia ancora piuttosto in salita nel nostro Paese. Tra le principali criticità, in grado di rallentare lo sviluppo e/o renderlo rischioso per gli investitori, emerge la complessità normativa, poco chiara e troppo restrittiva, l’inadeguatezza delle infrastrutture digitali nazionali e la collegata difficoltà di far dialogare i dati con i processi clinici e una grande frammentazione del processo.
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